Cara Gió*,
continuiamo a non trovare tempo per vederci. È un peccato, perché ci sono tante cose di cui vorrei parlarti. Ad esempio mi piacerebbe riprendere quella discussione che una volta avevamo iniziato sulla cosiddetta “gravidanza surrogata” (o “utero in affitto”). Tu, così almeno ricordo, condividevi con me alcuni dubbi sulla “maternità surrogata”: ti sembrava che la possibilità di dare “in affitto” l’utero, una parte del proprio corpo, per far nascere un bambino che poi sarà di altri fosse “orwellianamente” inquietante, e che potesse diventare una sorta di “prostituzione forzata” per le donne che hanno bisogno di soldi. Ti sembrava che a muovere gli aspiranti genitori fosse una forma di egoismo estremo, incurante dei tanti bambini abbandonati negli orfanotrofi (o come si chiamano adesso), che aspettano solo di essere adottati. Ma l’adozione, almeno in Italia, è resa praticamente impossibile dalle infinite procedure (burocratiche e non); e resta una ferita aperta per le coppie omosessuali, per le quali oggi è ancora un lontano miraggio, che le discrimina rispetto alle coppie eterosessuali. Ed è soprattutto di questo che vorrei qui parlarti: cosa dire a proposito dell’adozione di figli da parte di coppie omosessuali?
Tu, giustamente, rivendicavi dei diritti che ritieni sacrosanti: il diritto delle coppie omosessuali di formare una famiglia “a tutti gli effetti”, con una discendenza che le proietti nel futuro; e il diritto dei bambini ad essere accuditi da qualcuno, a trovare un luogo più accogliente e più attento rispetto all’orfanotrofio che li ospita. «Come può l’orfanotrofio essere meglio dell’affetto di due uomini o di due donne?», dicevi. E io ci pensavo, esitavo, facevo per parlare e poi mi zittivo, non del tutto certa di quale fosse la risposta da dare a una domanda del genere.
Il fatto è che tu, mentre parlavi, eri talmente convinta, davi talmente per scontato che la risposta giusta fosse una e che fosse la tua, che alla fine, devo ammetterlo, non ho trovato la forza per risponderti, la forza per essere del tutto sincera. Forse perché ho avuto paura di perdere la tua stima: capivo che questi argomenti sono tanto delicati che basta una parola sbagliata per stravolgere il pensiero che si vuole comunicare. E però, accidenti, quel mio silenzio di allora non mi sembra giusto, ci penso e ci ripenso e mi sembra sempre più fuori luogo: se non posso parlare liberamente nemmeno con un’amica, con chi posso farlo? Così, riavvolgo la pellicola e, scrivendoti, rompo quel silenzio.
A te, come del resto a molte altre persone, darà forse fastidio sentirselo dire, ma è vero quel che sottolineano tutte quelle persone etichettate come «retrograde» e «reazionarie»: per volontà della natura (o, per chi ci crede, di Dio) una coppia omosessuale non può riprodursi. La scienza può inventarsi tutte le tecniche di fecondazione artificiale che vuole, ma non potrà mai cambiare questa “legge”: qualunque scelta farà nella vita, una persona omosessuale non potrà comunque mai avere un figlio che sia geneticamente suo e della persona con cui ha deciso di condividere la propria vita. Almeno uno dei due deve rinunciare a trasmettergli i propri geni, e questo è doloroso e faticoso da accettare, credo per chiunque; anche se molti cercano di rimuovere questo dolore urlando al mondo che la genetica non conta nulla, e che un figlio è solo di chi lo cresce, che ciò che conta è solo l’amore. Ed è forse per questo che il mondo LGBT pretende di avere lo stesso diritto delle coppie eterosessuali di adottare un bambino: un diritto che può donargli solo la legge, perché la natura (o Dio) glielo ha in qualche modo negato.
D’altro canto, torna a ricordarmi la tua voce, «Come può l’orfanotrofio essere meglio dell’affetto di due uomini o di due donne?». Che domanda difficile, Gió… Ogni tanto me lo chiedo, sai? Come sarebbe crescere con due mamme o con due papà, o come mi sentirei se fossi omosessuale, quanti diritti in più pretenderei rispetto a quelli che sarei disposta a concedere oggi. Che domande difficili, Gió…
Una parte dell’opinione pubblica, quella che tu non hai difficoltà a definire «bigotta», se non «medievale», mette l’accento sul fatto che un bambino, per crescere al meglio, ha bisogno tanto della figura paterna quanto di quella materna, e per questo non guarda di buon occhio le adozioni da parte di coppie omosessuali. Pare che ci siano diverse ricerche che dimostrino questa necessità, ma sinceramente non penso che il punto decisivo si risolva a colpi di ricerche: il maschile e il femminile fanno parte della natura; alla fine, giriamola come ci pare, sono i due poli che muovono la vita su questo pianeta, e se dovessi scegliere a chi affidare il mio bambino non ho dubbi sul fatto che preferirei affidarlo a una coppia eterosessuale piuttosto che a un single o a una coppia omosessuale.
L’argomento spesso sostenuto dagli esponenti LGBT secondo cui le famiglie eterosessuali pullulano di abusi, violenze e inadempienze che traumatizzano a vita i bambini non regge: la “cattiveria” è, purtroppo, una caratteristica umana trasversale agli orientamenti sessuali. Certo che preferisco che un bambino stia con una coppia omosessuale amorevole piuttosto che con una eterosessuale violenta, ma questo non risolve il problema delle adozioni: la gente non gira per strada con un’etichetta in fronte con su scritto “persona violenta” o “persona perbene”, altrimenti avremmo risolto buona parte dei nostri problemi. E non regge neanche l’altro argomento, quello che sottolinea il fatto che tanti bambini si trovano alla fine con genitori (eterosessuali) divorziati o vedovi, e di riffa o di raffa crescono, senza particolari problemi, in assenza di una delle due figure genitoriali, magari trovando il riferimento genitoriale mancante nella maestra delle elementari, nello zio oppure nell’istruttrice di nuoto. Non voglio negare tutto questo, ma non credo sia bigotto riconoscere che questi bambini vivono comunque un trauma, piccolo o grande che sia, che chiunque preferirebbe, se possibile, risparmiare loro. Non credo sia bigotto augurarsi che un bambino possa crescere nel più semplice e naturale dei modi, con la sua mamma e il suo papà.
D’altro canto, come mi faresti notare tu e il resto del mondo LGBT, i bimbi negli orfanotrofi sono tanti, e l’alternativa potrebbe non essere tra una coppia omosessuale e una eterosessuale, ma tra una coppia omosessuale e il nulla. Ed eccola che torna, insistente, la tua voce: «Come può l’orfanotrofio essere meglio dell’affetto di due uomini o di due donne?». Che gravosa responsabilità, Gió, quella di dover decidere per chi non può farlo.
Io non ho la verità in tasca, e non ce l’ho nemmeno a portata di mano. Sulla questione dell’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali non riesco a prendere una posizione netta. Forse perché di mezzo ci sono i desideri ancestrali degli esseri umani, ma anche il destino dei bambini e la loro salute, su cui non è lecito commettere errori a cuor leggero. La verità è che non mi sento di dire, una volta per tutte, cosa sia “giusto” o “meglio” per un bambino, e mi stupisce che altri si sentano in grado di dirlo senza essere sfiorati da mille dubbi.
L’unica altra cosa che mi viene da aggiungere è questa: se oggi come oggi c’è davvero (come lasciano trapelare i media e come lamentano gli esponenti LGBT) tanta discriminazione nei confronti degli omosessuali, tanta «omofobia», allora i figli delle coppie omosessuali rischiano di andare incontro alle stesse discriminazioni e alle stesse vessazioni subite dai genitori, e per questo si dovrebbe evitare di affidare i bambini alle cure di coppie omosessuali; e, per lo stesso motivo, le coppie omosessuali dovrebbero essere molto caute nel rivendicare questo diritto.
Qualcuno forse, magari tu stessa, obietterà che se agli omosessuali fosse consentito di formare una famiglia al pari degli eterosessuali, se si “normalizzassero” certe situazioni, allora diminuirebbero i pregiudizi culturali e le discriminazioni ad essi legate. Probabilmente è vero. Ma certe battaglie, forse, è il caso di combatterle in altro modo, lontano dalle vite dei bambini.
Oggi gli animi sono esacerbati, e chi prende la mia posizione rischia di essere etichettato come «omofobo». Come credo tu sappia, io non ho problemi di «omofobia». Nel corso degli anni può certo essermi “sfuggita” qualche battuta indelicata nei tuoi confronti, ma se davvero fossi «omofoba» immagino che difficilmente saremmo riuscite a coltivare la nostra amicizia per anni, e difficilmente ti avrei seguita in quella serata LGBT di Milano. Dopotutto, mi sembra di non essere mai stata radiata dal tuo personalissimo albo delle persone rispettabili e degne di ascolto. Lo sarò adesso? Non credo.
Eppure, quando parli del “Family Day” o del WCF di Verona di fine marzo, ti accanisci contro quello che consideri un nemico con cui non è possibile dialogare. Li prendi tutti, uno per uno, e li butti nel calderone degli estremisti medievali senza cervello, omofobi, xenofobi, razzisti, fascisti, i figli si Satana che risalgono dalle fogne. Solo perché credono che un bambino cresca meglio con un papà e una mamma, solo perché mettono quello che loro ritengono il bene del bambino al di sopra del bene dell’adulto. Ma cosa c’è di male in questo? Cosa c’è di «omofobo»? Cosa c’è di «bigotto» o «medievale»?
Sono sicura che tra le persone del Family Day ci siano anche molte mele marce. Ma sono sicura che ci siano molte mele marce anche nel mondo LGBT, e che persone perbene siano “arruolate” anche nelle fila del Family Day. Allora perché tu, che sei una persona intelligente, bolli l’intera fauna del Family Day come «omofoba medievale»? Perché tu, che sei una persona intelligente, non pratichi quella stessa tolleranza che il popolo del Family Day dovrebbe praticare nei confronti delle tue idee? «Tollerare», dopotutto, significa proprio accettare opinioni e comportamenti che ci infastidiscono, anche nel profondo.
Come dice il mio Maggiordomo**, le persone di valore, intellettualmente oneste, quando criticano le idee diverse dalle proprie, devono confrontarsi con gli argomenti più forti, e non con quelli più deboli. Questo fa crescere una cultura e un popolo. Altrimenti, si prosegue sulla strada di due intolleranze che si scontrano, e continueremo a vivere in un mondo che ci costringe a vergognarci di dire quel che pensiamo davvero. Un mondo nemico, non amico. Pensaci, Gió.
Io, intanto, ti devo lasciare. Come al solito mi sono dilungata. Ma le cose da dirti continuano ad aumentare. Alla prossima!
Un abbraccio,
Gilda
*Gió è un nome di fantasia che ho dato a una mia carissima amica, che spero mi possa perdonare se si riconoscerà in ciò che scrivo ma, allo stesso tempo, troverà caratteristiche e aneddoti che non le appartengono: alle volte è più facile modificare leggermente la realtà per riuscire a dire meglio ciò che si pensa.
**Il mio Maggiordomo è un personaggio di fantasia realmente esistente. Fatevene una ragione.
Stupenda lettera,
…cara vecchia amica!
Che piacere leggerti e ritrovarti!
Sapessi quanti discorsi del genere ho dovuto affrontare anche io con un mio ormai ex (per altri motivi) amico 40enne, fanatico LGBT e gay (purtroppo per lui, non dichiarato…e quindi molto “stressato”! cosa che si ripercuote in chiunque gli sia vicino…). Mi trovi totalmente d’accordo con quanto da te detto. Sopratutto in merito al “comprofigli” (maternità surrogata) che questa sporca società malata e capitalista vuole venderci e imporci!
…e purtroppo, come hai fatto tu e come devono fare tutti coloro che affrontano discorsi del genere, DEVO ancora puntualizzare e bene che, NO! NON SONO AFFATTO OMOFOBO.
Un caro saluto e a presto!
Complimenti per questo blog.
Gil ?
Grazie Gilberto, per i complimenti, per la lettura e per il commento 🙂
Quando si affrontano certi argomenti ci vuole tanta tanta pazienza… e, purtroppo, spesso non è sufficiente: le posizioni vengono costantemente polarizzate, quindi basta porsi un problema e si viene etichettati come “fascisti”, “razzisti”, “omofobi” e via dicendo. E’ così che si creano le condizioni per la diffusione dell’intolleranza, che molti sostengono stia solo da una parte, quando invece pervade tutte le visioni del mondo (a destra, a sinistra, tra i cattolici, tra gli atei, tra i pro-vax, tra i no-vax, etc.). Io sono per il dialogo tra le parti, magari anche acceso, ma civile e incentrato sugli argomenti: per questo tengo aperto questo mio piccolo blog.