Oggi, 12 febbraio 2022, i miei studi “decadono”, ovvero non potrò più continuare il percorso universitario svolto finora, perché non ho dato esami per troppo tempo. In questi mesi avrei potuto darne, ne bastava uno: avrei potuto fare un tampone e piegarmi, anche solo una volta, alla logica del Green Pass; o inseguire uno degli escamotage che l’Università di Trento offre per poter svolgere gli esami in remoto. Avrei “salvato” i numerosi esami passati finora, ma a quale prezzo?
Potrei fare tante considerazioni, entrare nei dettagli del ginepraio burocratico cui è stata data vita; potrei sottolineare che non è un pezzo di carta a certificare la preparazione di una persona, e che combattere per i propri diritti a volte comporta di fare piccoli o grandi sacrifici, e farsi anche male: se non ci si fa male, vuol dire che non si sta combattendo. Preferisco limitarmi a condividere con voi la lettera che, in data 20 dicembre 2021, ho inviato a Flavio Deflorian, Rettore dell’Università degli Studi di Trento. Il Rettore mi ha risposto con una lunga mail (rispettosa, devo dire) che si chiudeva con l’ovvio suggerimento di esibire un Green Pass da tampone (forse non ha capito che avrei fatto la stessa scelta se fossi vaccinata o guarita, anche perché nella mia lettera non menzionavo il mio stato vaccinale). I rappresentanti degli studenti invece, cui ho inoltrato la mail per conoscenza, hanno giudicato la mia lettera come non degna di risposta o considerazione (si vede che, tra “tutti gli studenti” che essi si fregiano di rappresentare, io non sono e non ero presente).
Gentile Rettore Deflorian,
le scrivo questa lettera a titolo personale, ma avendo bene a mente che le mie parole possono essere condivise da altri studenti che si trovano in condizioni simili alla mia.
Il 12 febbraio 2022, tra appena due mesi, i miei studi “decadranno” se non darò almeno uno dei due esami che mi mancano per ottenere la laurea. Per farlo, però, dovrei piegarmi a fare uso di uno strumento (il cosiddetto “Green Pass”) che ritengo profondamente sbagliato e lesivo della dignità dei cittadini – vaccinati e non. L’Università di Trento mi ha fornito, in questi anni, gli strumenti per leggere la realtà politica e sociale che ci circonda; ed è nel nome delle conoscenze acquisite che mi trovo a dover combattere tale strumento, che pretende di condizionare e barattare tra loro diritti fondamentali (quello al lavoro, quello allo studio, quello alla salute, quello a disporre del proprio corpo, quello a condurre una vita sociale piena e dignitosa) che una democrazia dovrebbe invece impegnarsi a promuovere e tutelare unitariamente.
Le scrivo queste parole, tuttavia, non per invitarla a disapplicare le norme vigenti, o a battersi per l’eliminazione del certificato verde (la sua posizione in merito è chiara, e non posso fare altro che sforzarmi di rispettarla come vorrei che fosse rispettata la mia). Le scrivo queste parole per farle notare che le cose possono essere gestite anche in altri modi, che si può trovare una convivenza meno bellicosa e più proficua per tutti, andandosi vicendevolmente incontro ove possibile.
Non le chiedo, come vorrei, di attrezzare l’Università in modo che tutti, vaccinati e non vaccinati, possano affrontare gli esami in presenza in relativa sicurezza, con sistemi di areazione e pannelli in plexiglass, così che tutti possano essere trattati allo stesso modo a prescindere dalle scelte che (tutti legalmente e legittimamente) hanno compiuto in merito alla vaccinazione. Avrei ragione di chiederle questo: perché ho pagato regolarmente le tasse fino a novembre e perché lo Stato, e l’Università di Trento come suo “tentacolo”, dovrebbe «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3 della Costituzione).
No, non le chiedo quello che pure vorrei e potrei chiederle, non pretendo che delle soluzioni strutturali alla pandemia se ne occupi un “semplice” Rettore: sarebbe compito, questo sì, del Governo.
E tuttavia, però, credo che lei in quanto Rettore possa adottare delle soluzioni assolutamente legali che tengano conto sia della necessità di salvaguardare la salute pubblica sia della necessità di salvaguardare il diritto allo studio e il diritto al lavoro dei singoli. La macchina della didattica e degli esami a distanza per esempio, che è stata ben collaudata nei passati mesi di pandemia, potrebbe essere di nuovo offerta a tutti, così che anche chi è contrario all’introduzione del Green Pass possa studiare e insegnare, fare esami e portare a termine la propria carriera e il proprio percorso senza contravvenire alla legge e senza ridursi a potenziale veicolo di contagio. È vero che la didattica e gli esami a distanza non sono gli stessi di quelli in presenza, ma forse in un momento di emergenza come questo possono essere strumenti ancora utili: a ridurre non solo le possibilità di contagio, ma anche la frattura che si è creata nella società civile (tra vaccinati e non vaccinati, e favorevoli e contrari al Green Pass).
Ci tengo a scriverle personalmente perché credevo di essermi iscritta a un Ateneo sufficientemente inclusivo. Tuttavia, non vedo inclusività nella sua scelta di “concedere” esami a distanza solo a chi non si è vaccinato “per ragioni mediche”, escludendo volutamente, in ottica punitiva, chi ha operato, sulla propria salute, scelte diverse da quelle della maggioranza. Una decisione, la sua, che a mio avviso cozza platealmente con quanto affermato nella recente “Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti dell’Università degli Studi di Trento”. La “Carta” infatti afferma, come secondo principio, che «Gli e le studenti sono riconosciuti come portatori di pari diritti indisponibili e inviolabili, senza distinzione di genere, etnia, cittadinanza, età, orientamento sessuale, credo religioso, opinione politica, condizioni personali, convinzioni ed opinioni personali e sociali. Allo stesso modo, gli e le studenti hanno il dovere di rispettare le reciproche diversità, astenendosi da qualsiasi forma di discriminazione, anche indiretta, nei confronti del singolo o di gruppi di persone. Tutti i membri della Comunità universitaria hanno pari dignità» (Principi, art. 2). E che «La programmazione di Ateneo deve prevedere un numero adeguato di appelli d’esame fruibili dagli e dalle studenti. È loro diritto poter sostenere gli esami in tutti gli appelli predisposti, nel rispetto delle propedeuticità, delle eventuali attestazioni di presenza previste e del regolamento didattico di ateneo e/o del Regolamento del corso di studio e/o di altre disposizioni adottate dalla struttura accademica» (Modalità di valutazione, art. 3).
Dove sono finiti questi “principi” e questi “diritti”? Dove sono finiti i “diritti indisponibili e inviolabili senza distinzioni di opinioni personali e sociali”? Dov’è finito il rispetto per le “reciproche diversità”? Dov’è finita la “pari dignità”? Dov’è finito il “diritto di poter sostenere gli esami in tutti gli appelli predisposti”? In questo momento la Carta degli studenti sembra essere, agli occhi di alcuni, una semplice “carta” e nulla più: lettere morte su un foglio.
Ho pensato a lungo in questi mesi a quale fosse la scelta per me più opportuna. Sono arrivata alla conclusione che ciò che i cittadini italiani rischiano di perdere con l’introduzione del certificato verde vale ben più di una laurea, che pure ha certamente un suo valore. In questo momento in cui decine di migliaia di italiani stanno perdendo il lavoro (come forma di realizzazione personale prima ancora che come forma di sostentamento) non me la sento di rimanere passiva, di coltivare il mio orticello come se nulla stesse accadendo. Per dignità personale, e in sostegno di chi ci sta rimettendo ciò su cui si fonda l’intera Repubblica italiana (art. 1 della Costituzione), ho deciso che non mostrerò un Green Pass per fare un esame. E se questo significherà perdere i 18 esami fin qui superati, ne pagherò con onore le conseguenze. Non baratterò i diritti fondamentali dei cittadini italiani per una laurea, e sapere di aver fatto la mia parte nella difesa di diritti individuali di cui tutti, collettivamente, dovremmo disporre, mi aiuterà a superare eventuali rimpianti futuri.
Per concludere, mi rammarica che l’Ateneo, e i rappresentanti degli studenti in primis (che nelle loro newsletter affermano, con una certa leggerezza, di rappresentare tutti gli studenti), non si siano mossi per mettere in campo soluzioni come quelle più su richiamate, o per fare in modo che i mesi di pandemia (che hanno sconvolto le vite di tutti, inducendo molti a repentini cambi di priorità) non siano contati ai fini della decadenza degli studi.
Non credo, in tutta onestà, che questa mia lettera abbia reali chance di indurla a una gestione più inclusiva della situazione: le scrivo, piuttosto, nella consapevolezza di lasciare solo la mia testimonianza, che è quello che la storia mi concede.
Le porgo i miei saluti,
Gilda Fusco
p.s. inoltro, per conoscenza, al presidente del Consiglio degli studenti, al Garante degli studenti e al Comitato paritetico per il diritto allo studio e la valorizzazione del merito.
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