“Non mi sono vaccinato e non me ne vergogno”: La lettera di un docente

Qualche giorno fa, un docente di Trento, al rientro a scuola, ha letto davanti al Collegio dei Docenti una lettera che ha poi inviato anche alla stampa locale, in cui spiega i motivi per cui ha scelto di non vaccinarsi e quelli per cui rifiuta lo stigma che buona parte dell’opinione pubblica vorrebbe appioppargli (“no-vax”, “complottista”, “antiscientifico”, “negazionista”; ma anche “vigliacco”, “irresponsabile”, “egoista”, “stupido”). Sull’onda della lettera aperta scritta dagli studenti universitari di Bergamo, vorrei dare visibilità anche a quest’altra lettera. In un momento storico in cui il silenzio più assoluto si mescola al frastuono più assordante, in cui il continuo chiacchiericcio sul Covid non fa altro che calare un muro d’omertà sul clima da guerra civile promosso dalle istituzioni, mi sembra importante dare spazio a quelle poche voci che, con calma risolutezza e mettendo a frutto le proprie migliori doti argomentative, prendono coraggio e denunciano l’illogicità e la pericolosità di quanto sta accadendo. Non posso che condividere l’appello del firmatario: «che nessuno si senta a disagio ad esprimere le proprie opinioni», perché è proprio su questo disagio che proliferano tutti i tipi di regime non democratico.

Con l’occasione, segnalo anche l’appello dei docenti italiani contrari al Green Pass, che ha raccolto al momento circa 300 firme.

 

Il corteo dei docenti di Livorno (autori: Daniele Stefanini/Silvi, fonte: Il Tirreno)
Un corteo dei docenti di Livorno contrari al Green Pass (foto: Daniele Stefanini/Silvi, fonte: Il Tirreno)

 

Cari colleghi,

è un piacere vedervi per la prima volta in presenza. E tuttavia questo Collegio dei Docenti mi provoca anche una sensazione meno piacevole, e cioè quella di sentirmi in difetto e dunque in obbligo di giustificarmi. La mia colpa è di non essermi sottoposto alla vaccinazione contro il Covid-19 e di non essere quindi in possesso del Green Pass, che ad oggi consente libero accesso a tutte le strutture al chiuso. Come è noto, senza di esso, qui in Italia (attualmente unico caso in Europa insieme alla Grecia), non è consentito agli insegnanti di recarsi nel proprio luogo di lavoro a meno di esibire un test negativo autorizzato.

Perché non mi sono vaccinato? Per paura, lo ammetto, ma non riesco a vergognarmene. All’inizio di quest’anno sono venuto a conoscenza di un episodio particolarmente spiacevole legato alla vaccinazione, e da allora l’entusiasmo provocato dall’approvazione dei vaccini, grazie ai quali – si diceva – saremmo usciti dalla pandemia, ha lasciato spazio a un misto tra perplessità e curiosità su quali fossero i rischi correlati e, più in generale, il bilancio tra rischi e benefici. Così ho atteso, benché da insegnante avessi una corsia preferenziale rispetto ad altri cittadini della mia fascia di età. Ho atteso fino a maggio, quando mi sono prenotato per la vaccinazione, ma, come dicevo prima, la paura ha prevalso e il giorno precedente ho deciso di non sottopormici.

Da allora, tuttavia, non ho avuto sostanziali ripensamenti, e a ciò hanno contribuito diversi fattori, interni ed esterni, tra cui quello di non essere in una categoria a rischio elevato (ho meno di 55 anni, non sono affetto da diabete né da malattie respiratorie o cardiovascolari, ad esempio), e la gestione a mio parere approssimativa della campagna vaccinale (nello specifico, ho avuto e ho ancora la netta sensazione che il monitoraggio degli effetti avversi ai vaccini sia lacunoso e influenzato dal pregiudizio che ogni correlazione vada esclusa salvo prove inconfutabili). Che la campagna vaccinale fosse caratterizzata da una certa foga e approssimazione, mi è parso ancora più chiaro quando in Italia si è cominciato a vaccinare la fascia di età 12-17 anni, fascia che statisticamente ha registrato rarissimi casi di decesso (16 totali al 28 luglio 2021, secondo l’Istituto Superiore di Sanità); e quando si è deciso di introdurre il Green Pass, ufficialmente come misura di contrasto alla diffusione del virus, nei fatti uno strumento per convincere gli indecisi a vaccinarsi.

Molti criticano il Green Pass perché sarebbe una misura discriminatoria nei confronti dei non vaccinati. In parte condivido la critica, visto che l’esclusione dei non vaccinati vale anche per luoghi, sì al chiuso, ma arieggiati e in cui comunque è previsto l’obbligo di mascherina. Ma il motivo principale per cui io critico il Green Pass è che sta instillando un falso senso di sicurezza tra i vaccinati. Per la strana logica di questa misura, una persona anziana, magari con più patologie, ma vaccinata, che vada in un affollato ristorante al chiuso corre meno pericoli per la propria salute rispetto a un ventenne sano ma non vaccinato che vada al cinema con la mascherina. Detto altrimenti, ritengo che il Green Pass stia esponendo molte persone al rischio di contrarre il Covid 19 e dunque contribuendo alla circolazione del patogeno.

E ciò è tanto più vero in quanto è acclarato che la variante delta ha sensibilmente diminuito l’efficacia dei vaccini nel prevenire il contagio. Le cifre variano molto: si va dal 39% di efficacia rilevato in Israele nel periodo a cavallo tra giugno e luglio del 2021, a percentuali intorno al 70% nel Regno Unito; e ciò dipende anche dal periodo intercorso dall’ultima dose di vaccino: è confermato che col passare del tempo l’efficacia diminuisce, ragione che ha spinto molti paesi al ricorso ad una terza dose.

Sto dunque suggerendo che i vaccini sono inutili? No, niente affatto. Gli stessi monitoraggi che hanno rilevato la diminuita efficacia dei vaccini contro il contagio ne hanno confermato quella rispetto a ospedalizzazioni e decessi. Sto dicendo piuttosto che il vaccino non è una garanzia contro il contagio, la qual cosa rende il Green Pass uno strumento inutile se non addirittura controproducente, e che il bilancio rischi-benefici per le categorie non a rischio non è sufficientemente chiaro da giustificare una vaccinazione indiscriminata. Pare invece evidente che il miglior modo per limitare i contagi continua ad essere l’uso della mascherina, la corretta areazione degli spazi al chiuso, la distanza interpersonale e l’igienizzazione delle mani. A conferma di ciò, ricordo che il 27 luglio scorso la CDC (Centers for Disease Control and Prevention), ossia l’organo istituzionale degli Stati Uniti per il controllo della sanità pubblica, ha aggiornato le linee guida consigliando urgentemente di reintrodurre l’obbligo dell’uso della mascherina anche per i vaccinati negli spazi al chiuso.

Ora, per il fatto di non essere vaccinato sento il bisogno di giustificarmi dalle accuse che a ciò sono tipicamente associate, e cioè quelle di essere un antivaccinista per principio, di sottovalutare la gravità della pandemia, di mettere a rischio gli altri, di credere a teorie più o meno strampalate, di avere un approccio antiscientifico e di essere un negazionista. Rifiuto categoricamente ciascuna di queste accuse: prendo molto sul serio la pericolosità del virus, la mia salute e quella altrui, specie dei miei studenti; e a riprova di ciò basti al Collegio la mia forte, fortissima opposizione al mancato obbligo per gli studenti dell’uso della mascherina in classe, deciso all’inizio dell’anno scolastico scorso.

Ricordo di averlo fatto presente qui a scuola, come pure presso gli istituti provinciali preposti e per mezzo di giornali locali. La mia azione non ha avuto alcun successo, al più ha attirato le critiche sui social di chi era convinto che le mascherine fossero inutili. Poi l’obbligo della mascherina è arrivato, il 6 novembre scorso, a seguito del drastico aumento dei casi, e ho avuto quantomeno la futile soddisfazione di avere avuto ragione.

In quel caso il governo ha rimediato a una decisione che non esito a definire negazionista, degna del movimento No Mask. E questo è stato uno dei numerosi episodi che hanno dimostrato la natura illogica e controproducente di tanti provvedimenti, al punto che si potrebbe argomentare che i due governi Conte e Draghi, che pure evidenziano una netta continuità in quanto a gestione della pandemia, hanno sposato più volte delle posizioni sostanzialmente negazioniste e antiscientifiche.

Qualcuno si ricorderà che all’inizio della pandemia, marzo 2020, le mascherine erano inutili; poi è arrivato il lockdown, ma i “lavoratori essenziali” dovevano attenersi all’unica misura di mantenere un metro di distanza anche al chiuso senza alcun bisogno di coprire naso e bocca; nel frattempo siamo arrivati a credere che i runner e i ciclisti che facevano attività da soli costituissero una minaccia alla salute collettiva e che meritassero provvedimenti severi; con l’arrivo dell’estate il governo ha aperto di nuovo tutto o quasi, salvo dire che l’aumento dei casi in autunno è stata colpa dei cittadini irresponsabili che con la bella stagione si sono mossi fin troppo; a settembre la sopramenzionata decisione di non porre alcun obbligo di mascherina per gli studenti in classe, purché fossero “in condizione di staticità”, qualunque cosa questa espressione volesse dire; contestualmente erano vietate le uscite – che dico! – le passeggiate all’esterno della scuola all’aria aperta, perché costituivano pericolosi casi di assembramento; dal 4 dicembre viene sostanzialmente concesso a bar e ristoranti di aprire, quindi a luoghi al chiuso (a dicembre fa freddo) dove per definizione non si può usare la mascherina, mentre cinema e teatri rimangono chiusi; con l’inizio della campagna vaccinale il governo decreta che sanitari e categorie a rischio vengano vaccinati con il siero Pfizer, mentre Astrazeneca è riservato soltanto agli under 60, salvo poi, ad inizio aprile, cambiare di nuovo e stabilire esattamente il contrario: Astrazeneca solo ed esclusivamente per gli over 60; poi è stata la volta dei Green Pass e la falsa convinzione che un vaccinato non può essere contagioso, cui ho accennato prima; e adesso l’idea che un insegnante non vaccinato che rispetti tutte le misure di prevenzione a scuola sia una terribile minaccia per la salute dei propri studenti, incomparabilmente superiore a quella costituita da un collega vaccinato anche dopo parecchi mesi dall’ultima somministrazione.

Per rimanere in tema di scuola, trovo tanti paralleli tra l’operato dei due governi in fatto di contenimento della pandemia e la mia idea del cattivo insegnante, come ad esempio dare indicazioni arbitrarie, talvolta addirittura contraddittorie, senza spiegazioni; cambiare drasticamente idea sul da farsi senza darsi pena di motivare le proprie scelte; ritenere che i propri studenti/cittadini non siano in grado di farsi un’idea su temi complessi, e che vada accordata loro una fiducia limitata, e dunque anche margini di libertà ristretti; non ammettere le proprie colpe e non chiedere mai scusa, ma anzi addossare la responsabilità dei fallimenti sugli studenti/cittadini; alimentare una atmosfera di tensione e ansia; fomentare divisioni all’interno della classe/società creando due categorie artificiali, secondo un criterio arbitrario, semplicistico e incontestabile al contempo; infliggere delle punizioni senza dichiararle ufficialmente tali agli studenti/cittadini che decidano di non conformarsi alle disposizioni sulla carta facoltative o consigliate.

Come avrete capito, in quest’ultimo caso mi riferisco all’obbligo per gli insegnanti non vaccinati di esibire ogni due giorni un tampone negativo per accedere a scuola. La misura è arbitraria, dal momento che non viene richiesta a tutto il personale docente, stante la possibilità anche per i vaccinati di contrarre il virus; e ingiusta, dal momento che è a carico del lavoratore, la qual cosa equivale di fatto a una decurtazione dello stipendio. Per quanto mi riguarda, si tratta di una piccola punizione. Personalmente non ho alcuna intenzione di oppormi trasgredendo le regole: mi atterrò a quanto previsto facendo tre tamponi a settimana. E tuttavia non rinuncerò ad oppormi idealmente manifestando laddove possibile le mie critiche e perplessità, proprio come sto facendo adesso. Con ogni probabilità non otterrò nulla, ma vale comunque la pena di esprimere il proprio dissenso, specie quando il dibattito pubblico langue e l’atmosfera generale sembra imporre il silenzio a chi non è d’accordo attraverso gli strumenti sottili del biasimo e della indignazione.

Come dicevo prima, non mi sono vaccinato e non me ne vergogno, come non mi vergogno delle mie opinioni. E invito tutti a fare altrettanto: che nessuno si senta a disagio ad esprimere le proprie opinioni. Come invito tutto il Collegio dei Docenti a rifiutare la falsa dicotomia, la falsa divisione creata ad arte tra vaccinati e non vaccinati, perché la verità è che ognuno di noi ha fatto la propria scelta in coscienza, ognuno con diverse esperienze pregresse, con diversi ragionamenti, con diverse esigenze; e ogni scelta va rispettata, in quanto in ultima analisi è il singolo a subire le maggiori conseguenze delle proprie scelte, e non altri.

Teniamo piuttosto bene a mente, come ho ricordato prima, che, per quanto mi consta, ad oggi l’Italia è l’unico paese in Europa, insieme alla Grecia, a richiedere il Green Pass o il tampone ai docenti. Detto altrimenti, quelli strani, in questo caso, siamo tutti noi; e non mi stupirei se di qui a qualche tempo il governo dovesse ritornare in qualche modo sui propri passi, come sempre, senza giustificarsi, senza ammettere le proprie colpe e senza chiedere scusa, proprio come fanno i cattivi insegnanti.

A.S.



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