Perché il Green Pass è una misura politica (o “Carl Schmitt applicato al Covid”)

A seguito della pubblicazione della lettera aperta scritta da alcuni studenti dell’Università di Bergamo e indirizzata alla comunità universitaria, mi è stato chiesto in che senso il Green Pass è una misura di natura politica. Pur sembrando una domanda “facile”, cui poter rispondere in due righe, l’interrogativo nasconde invece una certa complessità che chi, come me, abbia studiato le scienze politiche deve tenere in considerazione nella risposta. In linea di massima, tanto per cominciare, si potrebbe dire che a questa domanda si possono dare diverse risposte, e questo anche perché la natura squisitamente politica di quanto sta accadendo si manifesta a diversi livelli. Prima di tutto, però, occorre intendersi su cosa significhi “politico”, il grande implicito della discussione pubblica (perché tutti crediamo fermamente di sapere cosa sia “politico”, ma quasi nessuno sa darne, all’occorrenza, una definizione soddisfacente).

Per la formazione che ho ricevuto e abbracciato io (che è una delle formazioni che si possono ricevere fuori e dentro l’Università), politica è tutto quel che ha a che vedere con le dinamiche di potere (istituzionali e non, formali e non, esplicite e non) che coinvolgono la collettività, ed è da questa prospettiva che osservo la società. È una prospettiva che si avvicina al cosiddetto “panpoliticismo” e che si muove intorno alle definizioni di “politico” che ha dato Carl Schmitt a suo tempo(1)Al netto di ogni polemica che può essere ingaggiata nei suoi confronti, Carl Schmitt resta un autore che ha dato un grande contributo alla definizione e allo studio della politica e dello Stato: solo chi non sia capace di distinguere gli argomenti dalla persona e/o dal loro uso politico può negargli tale merito..

L’autore, in uno dei suoi saggi più famosi, per risalire a una definizione di cosa è “politico”, parte dal tipo di frattura che si crea in ogni scontro che possiamo definire “politico”: secondo Schmitt, «La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind(2)C. Schmitt, Il concetto di «politico», 1932, in C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’, Bologna, il Mulino, 2013 (ed. or. 1972), p.108., laddove invece, ad esempio, «sul piano morale le distinzioni di fondo [sono] buono e cattivo; su quello estetico, bello e brutto; su quello economico, utile e dannoso oppure redditizio e non redditizio»(3)Ibidem, p. 108., eccetera. Quel che Schmitt intende per “amico” e per “nemico” non è riassumibile esaustivamente su queste pagine, perciò mi limiterò a richiamare quei passaggi della sua argomentazione che mi sembrano cruciali per inquadrare la natura eminentemente politica di alcune misure anti-Covid quali il Green Pass.

Per Schmitt, tanto per cominciare, «Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico non è neppure l’avversario privato che ci odia in base a sentimenti di antipatia. Nemico è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base a una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere. Nemico è solo il nemico pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in senso ampio»(4)Ibidem, p. 111.. Inoltre, aggiunge Schmitt, «Il ‘politico’ può trarre la sua forza dai più diversi settori della vita umana, da contrapposizioni religiose, economiche, morali o di altro tipo; esso infatti non indica un settore concreto particolare ma solo il grado di intensità di un’associazione o di una dissociazione di uomini, i motivi della quale possono essere di natura religiosa, nazionale (in senso etnico o culturale), economica o di altro tipo»(5)Ibidem, p. 121.. Vale a dire, si potrebbe azzardare, che un argomento, una frattura, diventa tanto più “politica” quanto più i protagonisti del conflitto si percepiscono mutualmente come hostis (ovvero come “nemici pubblici”, o “stranieri che portano guerra”), dove hostis sta appunto ad indicare non chi mi è genericamente “non amico” (inimicus), ma colui che mi è ontologicamente ostile. Vale a dire che siamo sempre più in uno scontro politico quanto più la minaccia insita nell’hostis diventa esistenziale: la tua azione (o la tua mera esistenza) minacciano la mia stessa esistenza, ed è per questo che mi sei nemico. Questa, si potrebbe dire, è una visione dinamica, non cristallizzata, di ciò che è politico: tutto può essere “politico”, se qualcuno riesce a farlo diventare tale. È da questo punto di vista che la visione di Schmitt può essere considerata “panpoliticista”: non tanto perché tutto è politico, quanto perché tutto può essere politicizzato, e in caso di politicizzazione di un argomento, la natura politica di quest’ultimo prevale su tutte le altre.

Bene, qui possiamo fermarci un attimo ad osservare la realtà che ci circonda. Non c’è bisogno di fare salti mortali a cercare chissà quale dichiarazione di famosi medici dalla dubbia deontologia professionale, di assessori sconosciuti dalla chiara incultura democratica, di anonimi infermieri al collasso dopo mesi impossibili. In realtà basta ascoltare le celebri parole che il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha pronunciato in occasione della conferenza stampa del 22 luglio scorso: «Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, lui/lei muore. Questo è». L’equivalenza istituita e istituzionalizzata da Draghi – non-vaccinato = portatore di morte – non è altro che la trasformazione esplicita del “no-vax” da “nemico privato” (inimicus) a “nemico pubblico” (hostis). Trasformazione che era già avvenuta da tempo, ma che ha trovato quel giorno concretizzazione nelle dichiarazioni istituzionali del Presidente del Consiglio: dichiarazioni tanto più gravi alla luce dell’assordante silenzio che le ha accolte. Le parole di Draghi, infatti, pur avendo ricevuto ampia visibilità mediatica, non sono state seguite da un dibattito intellettuale altrettanto visibile che abbia esplicitato un’operazione che, seppur lapalissiana, è rimasta sottotraccia: le parole del Presidente Draghi altro non sono che l’identificazione di quello che è diventato, a tutti gli effetti, un nemico pubblico (hostis) interno. Le parole di Draghi, nel linguaggio della politica, equivalgono a una dichiarazione di guerra, e quel che prima di tutto c’è da chiedersi è se il nostro Paese avesse davvero bisogno di qualcuno che, dalla più alta carica di Governo, aizzasse il fuoco, anziché smorzarlo.

 

 

Vero è che la definizione di hostis di Carl Schmitt appare talvolta molto stringente e radicale: «Nel concetto di nemico rientra l’eventualità, in termini reali, di una lotta… I concetti di amico, nemico e lotta acquistano il loro significato reale dal fatto che si riferiscono in modo specifico alla possibilità reale dell’uccisione fisica. La guerra consegue dall’ostilità poiché questa è negazione assoluta di ogni altro essere»(6)Ibidem, pp. 115-116., afferma Schmitt. Il riferimento alla guerra, alla sua «possibilità reale», può forse far credere che la questione dei vaccini e del Green Pass non si configuri in termini di amico-nemico. Tuttavia questa appare una lettura un po’ estrema di Schmitt, tanto più perché è lui stesso, subito dopo, ad evidenziare che «La guerra è solo la realizzazione estrema dell’ostilità»(7)Ibidem, p. 116., e che «Tutto ciò non vuol… assolutamente dire che l’essenza del ‘politico’ non sia altro che guerra sanguinosa e che ogni trattativa politica debba essere una battaglia militare, né che ogni popolo sia ininterrottamente posto, di fronte ad ogni altro, nell’alternativa di amico o nemico, e che la corretta scelta politica non possa consistere proprio nell’evitare la guerra… La guerra non è dunque scopo e meta o anche solo contenuto della politica, ma ne è il presupposto sempre presente come possibilità reale, che determina in modo particolare il pensiero e l’azione dell’uomo provocando così uno specifico comportamento politico»(8)Ibidem, pp. 116-117..

Se torniamo, con questa prospettiva, a guardare gli avvenimenti in cui siamo immersi, è difficile non riconoscere la frattura “amico-nemico” che domina la discussione pubblica, così come non mancano elementi che rendano la guerra (civile, in questo caso) una «possibilità reale», sebbene non immediatamente e palesemente probabile. Non solo perché il tema della guerra (al Covid) domina ormai il dibattito pubblico da oltre un anno, non solo perché coloro che non si vogliono vaccinare sono stati etichettati da una delle più alte cariche dello Stato come “portatori di morte”, ma anche perché, come rileva lo stesso Carl Schmitt, la guerra non è solo quella militare, bensì è progressivamente diventata, soprattutto nelle società occidentali contemporanee, qualcosa di più e di diverso: «La cosiddetta guerra totale supera la distinzione tra combattenti e non combattenti e, accanto alla guerra militare, ne conosce anche una non militare (guerra economica, di propaganda e così via), sempre come sbocco dell’ostilità… La sua totalizzazione consiste nel fatto che anche settori extramilitari (l’economia, la propaganda, le energie psichiche e morali dei non combattenti) vengono coinvolti nella contrapposizione di ostilità»(9)C. Schmitt, Sulla relazione intercorrente fra i concetti di guerra e di nemico, 1938, in C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’ (op. cit.), p. 201..

C’è da considerare anche che Carl Schmitt scriveva queste parole in un’epoca in cui la guerra militare e la violenza fisica erano qualcosa di ancora ben conosciuto e radicato all’interno delle nostre società, e, per fare un esempio, non esisteva nemmeno il concetto di “guerra fredda”, ben noto invece ai giorni nostri. Oggi, nella nostra parte di mondo, guerra e violenza fisica si sono talmente allontanate dalla nostra cultura che è molto più improbabile, rispetto agli anni ’30, che si concretizzino realmente. Eppure il fatto stesso che una parte dei cittadini sia stata etichettata come “portatrice di morte”, e che tale parte si veda minacciare la sua stessa esistenza “in quanto parte non-vaccinata” tramite l’istituzione del Green Pass o dell’obbligo vaccinale, pone la questione proprio nei termini di una guerra (civile?), sebbene magari combattuta con altre armi: dove qualche decennio fa ci sarebbero state sparatorie e barricate, oggi ci sono insulti e schermaglie sui social o sul posto di lavoro; dove un giorno ci sarebbe stata una tessera di partito, oggi c’è un certificato medico; dove in passato ci sarebbero stati campi di concentramento e pestaggi, oggi c’è l’esclusione da ogni angolo della vita sociale; dove ieri ci sarebbe stato lo sterminio o l’omicidio, oggi c’è il licenziamento o la sospensione senza stipendio. In breve, dove ieri c’era la minaccia all’esistenza fisica, ovvero la morte fisica, oggi c’è la minaccia all’esistenza sociale, ovvero la morte sociale. Non solo per via del Green Pass, ma anche per l’odio pubblico verso il non vaccinato che le istituzioni hanno alimentato in tutti questi mesi: persone che scrivono cose come quelle che scrivo io rischiano seriamente di perdere il lavoro (se lo hanno) o di non trovarlo (se lo stanno cercando) per via delle proprie opinioni personali.

A rafforzare i termini della questione nel senso di una “guerra”, poi, c’è anche il fatto che sta cominciando a diffondersi un’equivalenza tra “no-vax” e “terrorista”(10)Sono partite anche delle indagini in tal senso, sebbene non ci sia ad oggi stato nessun atto di carattere “terrorista” e dunque nessun indizio per ritenere fondato il pericolo di un “terrorismo no-vax”., che è nella nostra cultura il “nemico pubblico armato” per antonomasia. Se poi si guarda al sistematico uso della propaganda di Stato, alla minaccia di una reale perdita del lavoro o dello stipendio, o alla ridicolizzazione e alla condanna morale subite pubblicamente da chiunque si discosti anche di un pelo dalla linea governativa e da chiunque non goda di una fiducia cieca e infantile nei confronti delle istituzioni scientifiche, le altre concezioni di “guerra” (psicologica, sociale, culturale, economica) appaiono evidenti, e difficilmente ignorabili. Infine, a ben guardare, la sensazione di essere minacciati nella propria esistenza (anche fisicamente) può essere rinvenuta in entrambe le parti in gioco: da un lato, i “fanatici del vaccino” si sentono minacciati da chi, secondo loro, sottraendosi alla vaccinazione, diventa portatore di una terribile malattia letale; dall’altro, gli “scettici del vaccino” si sentono minacciati da chi, secondo loro, imponendo la vaccinazione col ricatto o con la legge, espone tutti i “vaccinandi” a temibili effetti collaterali letali.

A seguito di una disamina dello Stato come unità politica fondamentale che detiene il monopolio della guerra e il cui compito principale è quello di mantenere la pace interna, Schmitt poi offre un dipinto così chiaro di ciò che è un “nemico interno” che le sue parole possono essere prese ed applicate, frase per frase, al contesto che stiamo vivendo: «Questa necessità di pacificazione interna porta, in situazioni critiche, al fatto che lo Stato, in quanto unità politica, determina da sé, finché esiste, anche il “nemico interno”. In tutti gli Stati esiste perciò in qualche forma ciò che… il diritto statale romano [conosceva] come dichiarazione di hostis: forme cioè più o meno acute, automatiche o efficaci solo in base a leggi speciali, manifeste o celate in prescrizioni generali, di bando, di proscrizione, di estromissione dalla comunità di pace, di collocazione hors la loi, in una parola di dichiarazione di ostilità interna allo Stato. Questo è il segno, a seconda del comportamento di colui che è stato dichiarato nemico dello Stato, della guerra civile, cioè del superamento dello Stato come unità politica organizzata, pacificata al suo interno, chiusa territorialmente e impenetrabile ai nemici»(11)C. Schmitt, Il concetto di «politico», op. cit., pp. 130-131.. Ci troviamo, appunto, in una «situazione critica» in cui una parte della popolazione (quella individuata come “nemico pubblico interno”) è messa al bando, estromessa, dichiarata ostile dallo Stato stesso, che si pone a sua volta in modo ostile: attraverso «leggi speciali» manifeste (come quella sui sanitari che rifiutano il vaccino o quella che istituisce il Green Pass) o celate in prescrizioni generali (come le stesse parole di Draghi sui non-vaccinati). Ed è in questa chiave che le parole di Draghi, e in generale il comportamento del Governo, che si rifiuta categoricamente di ascoltare una parte consistente e attiva della cittadinanza, e anzi la dipinge al pubblico come nemico da sconfiggere, sono tanto gravi: perché sono un aperto atto di ostilità che apre concretamente alla possibilità di una guerra civile (tradizionale o moderna che sia). Dipende a questo punto da coloro che sono stati dichiarati nemici dello Stato, dice Schmitt, se rispondere oppure no, ovvero decretare se tale operazione involverà in una guerra civile oppure no. E questo non già per una pericolosità intrinseca di costoro, ma perché la guerra è stata ormai dichiarata dallo Stato stesso: l’unica alternativa possibile ad essa è la resa, ed è lo Stato stesso ad aver ridotto la possibilità di scelta a queste sole due opzioni.

 

R. Magritte, 1966
R. Magritte, 1966

 

Qualcuno potrebbe obiettare che, sebbene la questione sia diventata politica, la sua originaria natura è di carattere medico-scientifico, e che tale dovrebbe rimanere o ritornare; che a renderla “politica” sono le persone che “non si fidano della Scienza” e pertanto rifiutano di vaccinarsi; che il mondo medico-scientifico è totalmente avulso dalla politica e che le sue indicazioni sono “neutrali”, “oggettive”, in una parola irreprensibili. Se torniamo a Schmitt, troviamo spunti interessanti anche su questo: secondo lui, «contrasti religiosi, morali e di altro tipo si trasformano in contrasti politici e possono originare il raggruppamento di lotta decisivo in base alla distinzione amico-nemico. Ma se si giunge a ciò, allora il contrasto decisivo non è più quello religioso, morale od economico, bensì quello politico»(12)Ibidem, p. 119.. E questo proprio in virtù della frattura e dalla minaccia radicale rappresentata dalla divisione “amico-nemico”: la minaccia alla mia stessa esistenza è così forte che sovrasta automaticamente qualsiasi altra istanza. In un passaggio in cui affronta l’uso del linguaggio in politica, che è un’arma a tutti gli effetti, Schmitt sottolinea poi che «tutti i concetti, le espressioni e i termini politici hanno un senso polemico; essi hanno presente una conflittualità concreta, sono legati ad una situazione concreta, la cui conseguenza estrema è il raggruppamento amico-nemico (che si manifesta nella guerra e nella rivoluzione), e diventano astrazioni vuote e spente se questa situazione viene meno… Il carattere polemico domina soprattutto l’impiego linguistico dello stesso termine ‘politico’, sia che si qualifichi l’avversario come ‘non politico’ (nel senso di estraneo al mondo, carente sul piano concreto) sia invece che lo si voglia al contrario denunciare e squalificare come ‘politico’, al fine di sollevare poi sé stessi sopra di lui come ‘non politici’ (nel senso di puramente concreti, puramente scientifici, puramente morali, puramente giuridici, puramente estetici, puramente economici, o sulla base di analoghe purezze polemiche)»(13)Ibidem, pp. 113-114..

Le parole di Schmitt sono perfettamente sovrapponibili alla realtà che ci circonda, senza bisogno di nessun tipo di aggiustamento, a testimonianza della sua acutezza d’analisi: questa micidiale frattura che si è venuta a creare tra “fanatici” e “scettici” del vaccino non avrebbe alcun significato, se decontestualizzata dall’epidemia, e mai sarebbe arrivata ad essere così radicale senza l’intervento del Covid (o di un suo analogo) e senza un’azione continuativa dello Stato e dei media in tal senso. Quanto alla categoria del “politico”, il concetto viene attualmente usato come arma in entrambi i modi possibili: da un lato, infatti, tutti coloro che malauguratamente vengono etichettati come “no-vax”/“no-pass”, vengono sistematicamente ignorati dal Governo, come se non fossero, insieme alle loro idee e alle loro decisioni, parte integrante e di diritto della società-Italia, e vengono pertanto trattati come “non politici” (al più sono “egoisti”, “immorali”, subumani nei confronti dei quali “tirare la catena” perché finiscano “dove meritano”, come dice qualcuno); dall’altro, su un piano meno fattuale e più esplicito, vengono etichettati come “faziosamente politici”, contrariamente a quanti scelgano di vaccinarsi e di aderire al Green Pass, che sarebbero invece «puramente scientifici» (perché “Si fidano della Scienza”) e «puramente morali» (perché “Sono gli unici che si curano del benessere collettivo”, laddove invece chi non si vaccina “Guarda solo il proprio ombelico”).

Torniamo dunque alla domanda originale: perché il Green Pass e i vaccini, ma più in generale il Covid stesso, sono attualmente problemi di natura eminentemente politica? Non solo perché, come hanno dichiarato diversi esperti accreditati, «Non esiste nessuna prova che l’uso del Green Pass modifichi la trasmissione [del virus]» e pertanto la sua adozione non è utile a garantire, come da titolo del D.L. 105/2021 del 23 luglio, «l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche» o, come da titolo del D.L. 111/2021 del 6 agosto, «l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti». Ma anche perché la questione è posta, dallo Stato stesso, nei termini di un radicale scontro politico che ha portato l’inimicus a risultare sempre più ostile e così a diventare hostis. In poche parole, lo Stato ha creato un nuovo nemico pubblico, e questa è una faccenda squisitamente politica.

Lo Stato infatti non contempla più il non-vaccinato come suo cittadino di diritto, e dunque portatore di tutti i diritti che spettano al cittadino in quanto tale: il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto a una vita sociale, il diritto al rifiuto di misure sanitarie(14)Si potrebbe anche obiettare che il diritto al rifiuto di misure sanitarie era già stato compromesso da altre vaccinazioni passate. Questo è però vero solo in parte. Prima di tutto, fino a pochi anni fa l’obbligo di vaccinazione infantile (l’unico obbligo generalizzato esistente fino al 2020) non era seguito da misure restrittive nei confronti di chi rifiutava di vaccinare i propri figli o nei confronti dei bambini stessi: era un obbligo formale, ma lo Stato non si occupava di far rispettare tale obbligo. Solo con il D.L. 3/2018 (il cosiddetto “decreto Lorenzin”) lo Stato ha interdetto l’accesso alla scuola per i bambini fino ai 6 anni non sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie. Ci sono però da sottolineare tre aspetti: 1) tale legge incide su un diritto non fondamentale, perché più che compromettere il diritto all’istruzione (garantito con l’accesso libero sopra i 6 anni), compromette il diritto del genitore di affidare i figli piccoli alle istituzioni pubbliche mentre lavora; 2) il decreto Lorenzin interviene in parte su vaccini che sono sperimentati e adottati da decenni e i cui effetti collaterali (anche di lunga durata) sono stati osservati nel tempo, e in parte su vaccini sperimentati comunque da diversi anni (il vaccino contro il Papilloma virus, ad esempio, è stato autorizzato al commercio dall’AIFA nel 2007, ovvero ben 11 anni prima del decreto Lorenzin; 3) anche così, la legge Lorenzin resta controversa dal punto di vista etico-democratico, e non è un riferimento così solido da poter essere preso in considerazione di fronte alla privazione di numerosi diritti fondamentali che subiscono o rischiano di subire tutti coloro che decidono di non sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid. Quanto agli obblighi vaccinali più lontani nel tempo, come è il caso ad esempio del vaiolo, le nostre società e la scienza stessa erano così diverse da quelle che conosciamo che il confronto appare quasi impossibile. Ad ogni modo, non mi risulta che all’epoca ci fosse un equivalente del Green Pass, o che un rifiuto di una vaccinazione obbligatoria abbia mai comportato, prima d’ora, un tale sterminio di diritti. (o il diritto a fruirne, come auspica qualcuno), il diritto alla circolazione sul territorio, il diritto ad associarsi e incontrarsi in luoghi pubblici, il diritto di accesso alla cultura e alle attività sportive, sociali, politiche e via dicendo. Lo Stato non si occupa di trovare una soluzione per integrare diversamente, al suo interno, il personale sanitario, scolastico o universitario che viene sospeso dal lavoro e si trova a casa senza stipendio; non si occupa dello studente iscritto all’Università che viene respinto dalle aule o dalle biblioteche; non si occupa del lavoratore che non può consumare il pasto in mensa come tutti gli altri suoi colleghi; non si occupa dell’adolescente che non può più accedere in palestra o che non può più partecipare alla tradizionale cena di classe prima delle festività natalizie. Cosa intende fare, lo Stato, con tutti quei cittadini che continueranno a non volersi sottoporre a vaccinazione o a tamponi continui? Cosa crede che queste persone dovrebbero fare, dopo aver perso gi studi o il lavoro, e dopo essere stati estromessi dalla società? Dovrebbero forse morire di fame? Suicidarsi? Rubare? Diventare terroristi? Secondo voi, cosa dovrebbero fare?

È proprio questa la cosa più grave: lo Stato non sta agendo per gestire la presenza, sul territorio nazionale, di persone che decidono di non farsi somministrare il vaccino anti-Covid, ma piuttosto sta agendo per “eliminare” tale categoria di persone: non tanto un’eliminazione fisica tramite uccisione, quanto un’eliminazione sociale, politica, culturale tramite la propaganda, la condanna morale e il ricatto della loro “uccisione” dal punto di vista sociale e lavorativo (senza un lavoro e uno stipendio risulta anche difficile sopravvivere fisicamente, tra l’altro). Perché, diciamolo francamente: se, rifiutando il vaccino e rifiutando di ripetere continuamente un test invasivo in assenza di sintomi evidenti, non posso andare al bar, al ristorante, in biblioteca, in università, a scuola, sul posto di lavoro, in discoteca, in palestra, in mensa, in treno, allora cosa mi è rimasto di “sociale”(15)Se poi si abbraccia la visione aristotelica dell’uomo come animale sociale è facile osservare la gravità di tutto ciò.?

È lo Stato stesso che si è adoperato per rendere “politica” la questione, per radicalizzarla e farla divenire esistenziale al punto da creare in modo manifesto un nemico pubblico interno chiaramente identificabile (il non vaccinato, o colui che è privo di Green Pass). A questo punto, chi si oppone a tale narrazione e a tali “soluzioni”, non ha che due strade a disposizione: soccombere adattandosi, accettando ob torto collo il vaccino e/o il Green Pass (e dunque “lasciarsi eliminare” in quanto “no-vax” e/o “no-pass”), oppure radicalizzarsi a sua volta, disobbedire attivamente, affermare la sua esistenza in quanto “no-vax” e “no-pass” e dunque in quanto “nemico pubblico”, con tutte le conseguenze del caso (che sono tante, potenzialmente gravi e imprevedibili, e meriterebbero una trattazione a sé).

Per concludere lasciando la parola al Maestro, «vi sono sempre gruppi concreti di uomini che, in nome del “diritto” o dell’“umanità” o dell’“ordine” o della “pace”, combattono contro altri gruppi concreti di uomini, e l’osservatore dei fenomeni politici, se resta conseguente al suo pensiero politico, può riconoscere sempre, anche nella condanna dell’immoralità e del cinismo, solo uno strumento politico di uomini concretamente in lotta. Pensiero politico ed istinto politico si misurano perciò, sul piano teoretico come su quello pratico, in base alla capacità di distinguere amico e nemico. I punti più alti della grande politica sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico»(16)Ibidem, pp. 153-154..



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Note:

Note:
1 Al netto di ogni polemica che può essere ingaggiata nei suoi confronti, Carl Schmitt resta un autore che ha dato un grande contributo alla definizione e allo studio della politica e dello Stato: solo chi non sia capace di distinguere gli argomenti dalla persona e/o dal loro uso politico può negargli tale merito.
2 C. Schmitt, Il concetto di «politico», 1932, in C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’, Bologna, il Mulino, 2013 (ed. or. 1972), p.108.
3 Ibidem, p. 108.
4 Ibidem, p. 111.
5 Ibidem, p. 121.
6 Ibidem, pp. 115-116.
7 Ibidem, p. 116.
8 Ibidem, pp. 116-117.
9 C. Schmitt, Sulla relazione intercorrente fra i concetti di guerra e di nemico, 1938, in C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’ (op. cit.), p. 201.
10 Sono partite anche delle indagini in tal senso, sebbene non ci sia ad oggi stato nessun atto di carattere “terrorista” e dunque nessun indizio per ritenere fondato il pericolo di un “terrorismo no-vax”.
11 C. Schmitt, Il concetto di «politico», op. cit., pp. 130-131.
12 Ibidem, p. 119.
13 Ibidem, pp. 113-114.
14 Si potrebbe anche obiettare che il diritto al rifiuto di misure sanitarie era già stato compromesso da altre vaccinazioni passate. Questo è però vero solo in parte. Prima di tutto, fino a pochi anni fa l’obbligo di vaccinazione infantile (l’unico obbligo generalizzato esistente fino al 2020) non era seguito da misure restrittive nei confronti di chi rifiutava di vaccinare i propri figli o nei confronti dei bambini stessi: era un obbligo formale, ma lo Stato non si occupava di far rispettare tale obbligo. Solo con il D.L. 3/2018 (il cosiddetto “decreto Lorenzin”) lo Stato ha interdetto l’accesso alla scuola per i bambini fino ai 6 anni non sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie. Ci sono però da sottolineare tre aspetti: 1) tale legge incide su un diritto non fondamentale, perché più che compromettere il diritto all’istruzione (garantito con l’accesso libero sopra i 6 anni), compromette il diritto del genitore di affidare i figli piccoli alle istituzioni pubbliche mentre lavora; 2) il decreto Lorenzin interviene in parte su vaccini che sono sperimentati e adottati da decenni e i cui effetti collaterali (anche di lunga durata) sono stati osservati nel tempo, e in parte su vaccini sperimentati comunque da diversi anni (il vaccino contro il Papilloma virus, ad esempio, è stato autorizzato al commercio dall’AIFA nel 2007, ovvero ben 11 anni prima del decreto Lorenzin; 3) anche così, la legge Lorenzin resta controversa dal punto di vista etico-democratico, e non è un riferimento così solido da poter essere preso in considerazione di fronte alla privazione di numerosi diritti fondamentali che subiscono o rischiano di subire tutti coloro che decidono di non sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid. Quanto agli obblighi vaccinali più lontani nel tempo, come è il caso ad esempio del vaiolo, le nostre società e la scienza stessa erano così diverse da quelle che conosciamo che il confronto appare quasi impossibile. Ad ogni modo, non mi risulta che all’epoca ci fosse un equivalente del Green Pass, o che un rifiuto di una vaccinazione obbligatoria abbia mai comportato, prima d’ora, un tale sterminio di diritti.
15 Se poi si abbraccia la visione aristotelica dell’uomo come animale sociale è facile osservare la gravità di tutto ciò.
16 Ibidem, pp. 153-154.

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